E’ tempo di andare, di lasciare le placide acque fluviali della Chesapeake Bay che ci ha coccolato e protetto per più di tre mesi.
L’autunno è iniziato, i colori si sono caricati di rosso, la vegetazione sembra scaldarsi prima dell’inverno e i tramonti, qui sempre pieni di fascino, si sono fatti più melanconici.
Anche se siamo più o meno allo stesso parallelo di Cagliari, fa decisamente più freddo a causa dell’inclinazione dell’asse terrestre e già ora, mentre il sole va a dormire, si sta bene con l’aiuto del riscaldamento che accompagna la cena e la notte in cuccetta quando, in queste anse dei fiumi mentre siamo all’ancora, il buio viene a trovare la pace ed il silenzio che le contraddistingue.
Cominciamo a sentire il richiamo del mare, dell’oceano e, dopo mesi in questa tranquillità corroborata dal verde straripante delle rive, sentiamo che è arrivata, anche biologicamente per noi, l’ora di andare.
Non sempre i programmi che uno fa si avverano, soprattutto se questi dipendono dal vento e dalle vele che ci sospingono. Quest’anno gli uragani hanno colpito duramente portando dolore e danni su tante isole dove noi abbiamo soggiornato più o meno a lungo durante il nostro viaggio che ci ha portato sino a dove siamo ora. Praticamente incuneati nella baia di Chesapeake tra Baltimora e Annapolis.
Questi uragani hanno anche battuto duramente tutta la costa della Florida sino alla Carolina del Nord per poi passare “qua fuori” salendo sino a Cape Cod in un paio di casi.
Il rovescio della medaglia è stato dover rinunciare all’ultima tratta americana su cui abbiamo speso tempo e fantasia tracciando una rotta che ci avrebbe portato sino a Boston passando attraverso luoghi che ci attiravano particolarmente. Non c’è più tempo per farla e per godere del viaggio che avevamo pianificato, il tempo per scendere volge al termine. Onestamente ci scoccia non poco, anche se, lasciandoci dietro qualcosa di incompiuto, non possiamo definitivamente considerare esclusa qualsiasi possibilità di un ritorno.
Ora, mentre pian piano ci stiamo spostando verso la foce di questa grande baia, abbiamo la certezza che questi luoghi, di cui solo una piccola parte siamo riusciti a visitare approfonditamente, ci rimarranno nel cuore e nei ricordi andando ad alimentare tutte le meraviglie che, col Jonathan, siamo riusciti a raggiungere, vivere e vedere.
L’ultima tappa sarà una baia protetta chiamata Fishing Bay, dove c’è un marina non caro e la possibilità di rimanere all’ancora appena fuori. Qui faremo base, l’ultima base per rifornimenti, controlli finali e dove imbarcheremo una nostra amica che ha deciso di provare questa emozione di una rotta verso i Caraibi nell’Oceano del nord Atlantico.
Cercheremo di tenerci occupati perché le farfalle nello stomaco già cominciano a svolazzare. Sarà una bella navigazione, preparata al meglio, ma è sempre uno sfarfallamento quando sai che avrai 1600 miglia che ti aspettano in mezzo all’oceano, lontano dalla costa. Sì, perché la rotta che faremo è quella che si utilizza per scendere da qui sino al mar caraibico ed è molto esterna per una serie di motivi.
La chiamano “Route 66” e fa il verso alla famosa Interstate americana. E’ la rotta che ha la maggior probabilità di trovare venti “meno sfavorevoli” e si può percorre in una finestra temporale di pochissimi mesi prima che le burrasche da nord rendano impossibile o, quantomeno, molto più difficile il viaggio. Si chiama “Route 66” perché ci si dirige con una rotta ESE sino al 65°, 66° meridiano ovest, tagliando perpendicolarmente la Corrente del Golfo che, mentre aiuta a salire…non aiuta a scendere…poi, arrivati da “quelle parti” si può far rotta SSE sino all’arrivo.
Se si scende prima, gli alisei che iniziano “la stagione” e si trovano più a sud, non permettano poi di arrivare alle Antille, dove noi siamo diretti, costringendo l’atterraggio troppo a ovest da dove poi… si può solo andare a ovest, a meno che uno non sia votato al martirioo abbia una barca a motore.
Non sarà comunque una navigazione come la traversata oceanica, non ci sono gli alisei che ti sospingono verso la meta, ma venti e perturbazioni da tenere costantemente sotto controllo.
Tutta la preparazione, già in parte avvenuta, verrà completata con i doppi controlli a tutte le manovre del Jonathan, il giro delle drizze, il check degli apparati di trasmissione, le attrezzature di sicurezza ed infine la cambusa sufficiente per dieci, quindici giorni di navigazione.
La parte più delicata è decidere “quando” partire e qui, ancora una volta, Sergio, il nostro Weatherman, ha accettato di seguirci per la terza volta analizzando da casa la situazione generale, dove siamo e dove stiamo andando, dandoci quello che in gergo si chiama il “Routage“, via radio. Noi faremo lo stesso a bordo, ma le zone lontane che possono mostrare la formazione di zone cicloniche o anticicloniche e il loro relativo sviluppo e rotta, non possiamo vederle e una previsione è attendibile solo a tre giorni. Poi bisogna fare delle estrapolazioni e “capirci” per presumere qualcosa che sia un po più che un vaticino.
Questo, speriamo, terrà a bada le farfalle e poi, una volta che l’oceano ci abbraccerà di nuovo tutto riprenderà a rotolare, come sempre.